L'odio contro l'istituzione scolastica

(Solita preoccupazione di non aver centrato la categoria, chiedo perdono in caso di errore
)
Mi venne l'idea di questa discussione spulciando su Wikipedia le biografie di killer e serial killer -suona molto macabro ma è uno dei miei passatempi preferiti-; riflettendo su come alcuni (molti?) soggetti coinvolti in omicidi di massa nelle scuole fossero stati diagnosticati Asperger. Fermi tutti, mi rendo conto perfettamente che non è quella la causa in sé, ma poniamo uno che è mancino, fin da piccolo viene bullizzato, emarginato, deriso perché è mancino, questa cosa gli impedisce di avere una vita normale, delle relazioni, un'evoluzione sociale: non mi sembrerebbe inusuale se sviluppasse una psicosi. Credo sia quello che potrebbe succedere ad un autistico non compreso, specialmente quando agli atti poi dal punto di vista intellettivo non gli manca nulla.
Ad attirare la mia attenzione in prim'ordine è stata la biografia di Adam Lanza (che tra l'altro secondo i suoi genitori era diventato schizofrenico, confermando l'idea di cui sopra) il quale non ha curiosamente fatto strage di suoi coetanei ma di bambini. Ora la mia personale idea/chiacchiera da bar era che nella sua psicosi volesse risparmiare a quei bambini di crescere in un mondo incomprensibile, o qualcosa del genere. Ma fermandomi un attimo a riflettere, ho pensato che forse nella sua mente l'intento era quello di distruggere la sacralità di un ente scolastico a caso, da qui la mia riflessione.
Personalmente provo un odio fortissimo contro l'istituzione scolastica in sé, specialmente quella pubblica che vive di retorica sull'uguaglianza; il mio sentimento non trova giustificazione nel trattamento che ho ricevuto, di certo non dei migliori ma non tanto crudele da giustificare un disprezzo vivo e militante, tenuto conto del fatto che ho avuto un ottimo rendimento e che ho saputo accettare e riconoscere chi ha avuto un rendimento migliore del mio pur non avendo la mia originalità, così come ho subito capito di essere io quella inadatta per certi ambiti di studio e che pur essendo evidente anche ad altri la mediocrità degli insegnanti in quegli ambiti non sarei cambiata neppure avendo Piero Angela come docente. Qualche tempo fa un caro amico virtuale mi passò un saggio che potrei definire anarchico sulla necessità di privare la società del concetto di scuola, che pur essendo io una che tende ad accettare cinicamente l'autorità ed essendo contraria a tutte le ideologie di sovversione, trovai interessantissimo e veritiero, nonché a tratti attuabile.
Ho anche riflettuto su come nel ricordo, invece che essere tutto più bello come senso comune vuole, non riesco davvero a trovare qualcosa di buono che la scuola in sé possa aver fatto per me, per i miei compagni o per la società. Tutto ciò che mi piaceva era fuoriprogramma, gli insegnanti di cui ho una bella opinione e che mi hanno lasciato un patrimonio inestimabile in materia di ricordi e scoperte erano disprezzati e considerati degli incapaci o svogliati.
All'università tutto è cambiato, ma perché io ho scelto un luogo fisicamente isolato e dei corsi in cui non è necessario frequentare, ma non ho dubbi che proverei lo stesso odio immenso se dovessi laurearmi in Giurisprudenza nella facoltà affollata e quotatissima della mia città.
Tutto questo per dire che se ho una certezza è che nel giorno (non arrivi mai!) in cui perdessi contatto definitivo con la realtà e cominciassi a meditare morbosamente giorno e notte sulle radici della mia infelicità/alienazione, finirei col pensare che era tutta colpa della scuola, e di certo avendo un istinto distruttore o omicida sarebbe la prima 'cosa' sulla quale lo riverserei.
Posto che come ribadivo all'inizio non sto dicendo che i disturbi dello spettro autistico siano l'origine della condotta omicida dei soggetti che stavo studiando, ma mi chiedevo se in tutti i soggetti atipici, reputati strani, autistici o sospettati, diciamo 'pervasivamente diversi', si nasconda questa rabbia nemmeno irrazionale verso il simbolo di cosa tutti si aspettino che facciamo per essere dei vincenti, il luogo in cui si sta insieme perché l'anno in cui siamo nati ci obbliga, in cui si deve socializzare per essere buoni, raggiungere obiettivi spacciati per minimi ma in realtà irragiungibili da una parte e atrofizzare la propria curiosità e il proprio pensiero fuori dal coro dall'altra, un ente che sostanzialmente ci toglie dalla famiglia quanto basta per creare un divario incolmabile di incomprensione e poi ci rimette nella società pretendendoci forti e autoconsapevoli dopo aver fatto di tutto per distrarci dall'indagine su noi stessi e dall'approfondimento dei nostri punti di forza. E se così è, quanto è scontato che, nella follia, si individui in essa la radice di tutti i mali?

Mi venne l'idea di questa discussione spulciando su Wikipedia le biografie di killer e serial killer -suona molto macabro ma è uno dei miei passatempi preferiti-; riflettendo su come alcuni (molti?) soggetti coinvolti in omicidi di massa nelle scuole fossero stati diagnosticati Asperger. Fermi tutti, mi rendo conto perfettamente che non è quella la causa in sé, ma poniamo uno che è mancino, fin da piccolo viene bullizzato, emarginato, deriso perché è mancino, questa cosa gli impedisce di avere una vita normale, delle relazioni, un'evoluzione sociale: non mi sembrerebbe inusuale se sviluppasse una psicosi. Credo sia quello che potrebbe succedere ad un autistico non compreso, specialmente quando agli atti poi dal punto di vista intellettivo non gli manca nulla.
Ad attirare la mia attenzione in prim'ordine è stata la biografia di Adam Lanza (che tra l'altro secondo i suoi genitori era diventato schizofrenico, confermando l'idea di cui sopra) il quale non ha curiosamente fatto strage di suoi coetanei ma di bambini. Ora la mia personale idea/chiacchiera da bar era che nella sua psicosi volesse risparmiare a quei bambini di crescere in un mondo incomprensibile, o qualcosa del genere. Ma fermandomi un attimo a riflettere, ho pensato che forse nella sua mente l'intento era quello di distruggere la sacralità di un ente scolastico a caso, da qui la mia riflessione.
Personalmente provo un odio fortissimo contro l'istituzione scolastica in sé, specialmente quella pubblica che vive di retorica sull'uguaglianza; il mio sentimento non trova giustificazione nel trattamento che ho ricevuto, di certo non dei migliori ma non tanto crudele da giustificare un disprezzo vivo e militante, tenuto conto del fatto che ho avuto un ottimo rendimento e che ho saputo accettare e riconoscere chi ha avuto un rendimento migliore del mio pur non avendo la mia originalità, così come ho subito capito di essere io quella inadatta per certi ambiti di studio e che pur essendo evidente anche ad altri la mediocrità degli insegnanti in quegli ambiti non sarei cambiata neppure avendo Piero Angela come docente. Qualche tempo fa un caro amico virtuale mi passò un saggio che potrei definire anarchico sulla necessità di privare la società del concetto di scuola, che pur essendo io una che tende ad accettare cinicamente l'autorità ed essendo contraria a tutte le ideologie di sovversione, trovai interessantissimo e veritiero, nonché a tratti attuabile.
Ho anche riflettuto su come nel ricordo, invece che essere tutto più bello come senso comune vuole, non riesco davvero a trovare qualcosa di buono che la scuola in sé possa aver fatto per me, per i miei compagni o per la società. Tutto ciò che mi piaceva era fuoriprogramma, gli insegnanti di cui ho una bella opinione e che mi hanno lasciato un patrimonio inestimabile in materia di ricordi e scoperte erano disprezzati e considerati degli incapaci o svogliati.
All'università tutto è cambiato, ma perché io ho scelto un luogo fisicamente isolato e dei corsi in cui non è necessario frequentare, ma non ho dubbi che proverei lo stesso odio immenso se dovessi laurearmi in Giurisprudenza nella facoltà affollata e quotatissima della mia città.
Tutto questo per dire che se ho una certezza è che nel giorno (non arrivi mai!) in cui perdessi contatto definitivo con la realtà e cominciassi a meditare morbosamente giorno e notte sulle radici della mia infelicità/alienazione, finirei col pensare che era tutta colpa della scuola, e di certo avendo un istinto distruttore o omicida sarebbe la prima 'cosa' sulla quale lo riverserei.
Posto che come ribadivo all'inizio non sto dicendo che i disturbi dello spettro autistico siano l'origine della condotta omicida dei soggetti che stavo studiando, ma mi chiedevo se in tutti i soggetti atipici, reputati strani, autistici o sospettati, diciamo 'pervasivamente diversi', si nasconda questa rabbia nemmeno irrazionale verso il simbolo di cosa tutti si aspettino che facciamo per essere dei vincenti, il luogo in cui si sta insieme perché l'anno in cui siamo nati ci obbliga, in cui si deve socializzare per essere buoni, raggiungere obiettivi spacciati per minimi ma in realtà irragiungibili da una parte e atrofizzare la propria curiosità e il proprio pensiero fuori dal coro dall'altra, un ente che sostanzialmente ci toglie dalla famiglia quanto basta per creare un divario incolmabile di incomprensione e poi ci rimette nella società pretendendoci forti e autoconsapevoli dopo aver fatto di tutto per distrarci dall'indagine su noi stessi e dall'approfondimento dei nostri punti di forza. E se così è, quanto è scontato che, nella follia, si individui in essa la radice di tutti i mali?
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Commenti
Uno si puo' ritrovare con " la scuola" per tutta la vita.
Aggressioni senza motivo, aggressioni di gruppo, maleducazione, gente rispettata perche' tira solo e unicamente randellate, gente che parla parla e straparla, ecc.
Controllarsi e' difficile.
In realta' e' perche' dal sessantotto non vi e' piu' una scuola istituzione, e neanche gli ambienti di lavoro sono istituzionalizzati.
Chiamali luoghi dove sopravvivi stringendo alleanze se ci riesci: vince il piu' freddo, chi non si arrabbia.
Ci si deve alleare anche con i nemici, scendere a compromessi, come in guerra.
Putroppo hanno sui cinquanta, sono estremisti della scuola.
Risono ai posti di comando.
Per scalzarli bisogna fare una guerra dura e non tutti hanno voglia.
Tanti vedono, ma.. non si puo' salvare il mondo in due.
Vince il piu' forte.
Poi verro' perseguitata per i prossimi diciassette anni, disfattista, distruttiva, gli tocchi l' illusione dell' ambiente idilliaco.
Dei colleghi: una urla come hitler e poi alla fine dell' anno " con me, sono tutti bravi"
Uno vuole risollevare le sorti con gli articoli sul giornale.
Altri si rinchiudono in classe e poi se dici una parola, " non arrabbiarti, fregatene"
Altri sono sessantottini delusi, ma tanto vanno in pensione.
Altri " io sono sempre positiva" e telefonano alla collega con cui vanno a ballare il latino americano:)
Insomma tutti hanno la soluzione in tasca, e si subiscono degli odi nascosti, perche' poi qualcosa mi sfugge, non si puo' nascondere a lungo il disappunto e lo scontento.
Te la fanno pagare nei modi piu' subdoli.
E' quello a cui qualcuno ha fatto pagare il silenzio a suo tempo, e in modo subdolo, quello che ha subi'to senza reazione, non ha tirato fuori a parole perche' era bloccato.
Se si sblocca tutto insieme, e trova facile reperibilita' di armi, esplode tutto quel non ha detto.
Si e' covato tutto e il tutto si e' trasformato in ' delirio'.
E poi il delirio si agisce.
Non si razionalizza piu'.
Io non sono nessuno, però tra i miei desideri posso dire che voglio un'altra scuola, magari anche con un altro nome, perché no.
Penso che la sofferenza continuativa, un vissuto di abbandono (o comunque percepito tale) da parte delle figure adulte, un vissuto di esclusione e violenza da parte dei coetanei costituiscono un buon humus verso azioni estreme in persone un poco predisposte.
E magari le stesse persone in altro contesto maggiormente accogliente avrebbero agito diversamente.
Non è solo la scuola, ma tanto dipende da come vede le cose la persona.
Un vissuto di abbandono e' quando dentro di te senti che sei solo in quanto nessuno la vedra' dal tuo punto di vista.
Tu puoi cambiare agilmente le prospettive quando hai interiorizzato che anche la tua e' valida.
Se ti dicono sempre " ma la vedi troppo tragica" sei delegittimato e non puoi diventare positivo.
Si e' flessibili quando prima ci hanno trasmesso fiducia nel proprio discernimento, o punto di vista.
Quando anche uno psy ti suggerisce di guardare alle tue emozioni, e imparare a leggerle, vorrebbe dirti di accoglierle con fiducia.
" Oggi con il mio capo/prof/collega e' successo che mi e' saltato il sangue agli occhi, mi stavo tenendo, mi ha fermato il tipo che mi ha visto gli occhi iniettati ed e' intervenuto con calma."
Poi ti viene la gastrite, ma almeno uno si e' reso conto e si e' descritto.
Il punto di vista e' diverso:" il capo e' un cretino"
"Perche' ha attaccato senza ragione, tanto per il piacere."
Ecco, la gente per la maggior parte oggi aggredisce per il piacere.
Attualmente sono impeganto con un'altra stesura, ma non sarebbe cattiva l'idea di scrivere il "Libro Nero della Scuola". Sarebbe appropriato,
visto il carattere di assoggettamento e discriminazione, a fini di
potere, dell'istituzione scolastica; fini che sono l'opposto della
diffusione della cultura e della scienza. Bullismo, discriminazione,
conformismo, selezione in base a parametri fissi, uguali per tutti,
problemi di DSA e cose simili.
Un tale Libro Nero dovrebbe partire dai Sumeri, la cui scuola era
particolarmente noiosa, severa, con punizioni corporali a ogni mancanza.
Ma, in realtà, dovrebbe rendere evidente che ogni progresso culturale,
artistico, e scientifico, è avvenuto non per merito, ma lottando contro
l'istituzione scolastica. Si, perchè se si analizza bene la Storia, la
Scuola ha in realtà represso il progresso. Sarebbe lungo dilungarmi qui.
Il mio problema principale sarebbero le fonti; dove documentarmi? E iol
tempo.
Premetto che sono interessato. Fallito a scuola 35 anni fa per una
probabile dislessia. In procinto di perdere un lavoro complesso, che ho
sempre ben svolto per 28 anni, non ne troverò un altro a causa anche di
questo.
Si, perchè in Italia oggi, a differenza credo del mondo aglosassone, se
hai esperienza e sai fare, ma non hai fatto le scuole, non sei (come
minimo) ben visto. Da qui, deduco che, arrivato a 52 anni, dopo aver
lavorato 35 anni, non vada oltre. Scrivo più che altro per lasciare una
traccia; spero almeno di fare in tempo (comunque, almeno un paio di cose
le lascio).