Come vi sentite quando una persona usa la "R slur/R word" per insultare?

Per chi non lo sapesse, la R slur (detta anche R word, slur sta per parola offensiva) è la parola "retarded" (ritardato) usata per insultare o come sinonimo di "stupido", un po' come la N word usata per insultare le persone nere o la parola "mongoloide" o la frase "essere un Down" riferita alle persone con sindrome di Down. Molte persone autistiche/aspie/DSA non amano sentire questo termine, perché non è vero che sono stupidi. E poi in generale essere definiti stupidi non è per niente bello.
Io faccio parte di quelle persone. Sarà che sono molto sensibile e permalosa, che mi basta niente per piangere e arrabbiarmi, ma non c'è parola più brutta di quella per farmi stare male. E per male intendo che mi si abbassa l'autostima, mi sento come se fossi davvero stupida. Anche usarla per scherzare mi fa stare male, infatti non lo faccio.
Eppure ho smesso di dire alle persone che non dovrebbero usarla, perché tutte le volte mi rispondono dicendo che oggi non si può più dire nulla, che sono pesante, moralista, perbenista, che loro possono dire quello che gli pare e io non posso impedirglielo. Ho smesso perché mi sento male a vedere le persone che invece di scusarsi come fa qualsiasi persona con un minimo di maturità fanno i superiori del cacchio.
Ho imparato che il ruolo dell'"attivista/social justice warrior" non fa per me. Preferisco ignorare tutto e andare avanti, anche se mi fa stare male. Lo so, significa cedere all'ignoranza, ma il punto è che se sto male rimango male tutta la giornata, è una sensazione che odio e che preferisco evitare a tutti i costi.
Addirittura uno mi ha pure detto "rispetto le persone con disabilità, ma la R word si usa può essere usata per dire a qualcuno che è stupido, dipende da come la usi". Che è un po' come dire "io non sono omofobo ma mi fa schifo vedere due uomini che si baciano, dovrebbero farlo a casa loro". Addirittura ne ho trovato un altro che sosteneva che la R slur non fosse tanto grave quanto la N word, cosa di cui non sono d'accordo.
Non mi piace nemmeno quando usano "handicappato", "autistico" o "disabile", mi vanno bene solo quando NON vengono usate per insultare ma solo per indicare chi ha disabilità fisiche e/o mentali. "Diversamente abile" è troppo lungo per me, non mi fa impazzire come termine.
Anche "avere la 104" ormai è diventato sinonimo di essere stupidi. Sulla mia discussione di presentazione avevo parlato del sentirmi fiera di essere aspie, del fatto che lo fossi solo in parte perché purtroppo nel 2021 vedere gente che non è ancora informata sull'autismo (se lo fa, lo fa in maniera superficiale) e che dunque usa la parola ritardato per insultare mi fa stare male anche se non è rivolta a me.
So cosa state pensando: è vero che oggi si fa polemica su tutto, ma non sempre è una cosa sbagliata. A volte lo si fa per una giusta causa. So però che ci sono soggetti autistici/aspie che usano questi termini per autoironia/black humor, e io li invidio perché riescono a scherzarci sopra senza sentirsi male.
Voi cosa ne pensate? Anche a voi dà fastidio quando si usa la R slur?
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Commenti
Mia zia, per esempio, mentre eravamo a tavola chiese a mia madre se mi piacesse un cibo e io, arrabbiato le dissi "Perché non lo chiedi direttamente a me?"
Non mi hanno mai chiamato ritardato in faccia, ma so che in passato lo facevano. In un ambiente in cui ci sono stato vari mesi, sapevo che alcuni mi chiamavamo "Lo scemo".
Fa male, ma col tempo ho imparato che sono problemi di quelle persone. Io sono di non essere stupido, scemo o handicappato. Talvolta sono goffo, ho un tono di voce monotono e basso, ma io ho imparato a viverci e penso che quelle persone siano maleducate ed è meglio starci alla larga.
Non ci pensare, non vale la pena di rimugginare su quello che dicono questo tipo di persone.
Ho mostrato ad una persona cattiva le conseguenze delle sue azioni.
La parola "monxxxxide" e derivati mi fa letteralmente vedere rosso. Usarla ti farà perdere qualsiasi rispetto possa provare per te.
Comunque, un numero crescente di persone, oggi, nascondendosi dietro una presunta "libertà di espressione", e una presunta ribellione contro la "dittatura del buonismo", si arroga il diritto di usare queste espressioni. Il problema è che poi si lamentano quando incorrono in conseguenze (multe, richiami, licenziamenti...pestaggi). Non si rendono conto che tali parole sono, come efficacemente definite da una sentenza della Corte Suprema americana del 1942 "fighting words". Vale a dire, "parole rissose". Secondo la corte, sono parole la cui pronuncia può provocare ragionevolmente la reazione aggressiva dell'interlocutore, disturbando la pace sociale.
Se ritieni di sdoganare un simile linguaggio, non sorprenderti se qualcuno, in risposta, riterrà di sdoganare il suo pugno...
Alcuni ritengono, invece, che un linguaggio ed un atteggiamento aggressivi siano necessari per farsi "rispettare" , per non mostrarsi deboli, o come difesa o deterrente. finché ti trovi tra persone "civili" che lasciano correre per "quieto vivere" , magari otterrai, nel breve termine, quello che vuoi. Ti diranno "sì, come vuoi tu". "Hai ragione tu". "Tutto quello che vuoi tu". Magari ci sarà pure chi dirà che sei forte, che sei "uno che sa quel che vuole", un "duro", ecc.. Ma non ti rispetteranno veramente. Il problema è se incontri una persona abitualmente violenta, o mentalmente disturbata, o con mesi e mesi di rabbia repressa, tali atteggiamenti aggressivi e tracotanti non solo NON costituiranno un deterrente, ma saranno, agli occhi di questa persona, la motivazione perfetta per reagire e farti anche del male....
In sostanza, l'odio e la cattiveria sono pericolosi, perché prima o poi incontri chi, in un modo o nell'altro te li fa pagare...
A scuola ero spesso presa di mira, anche da qualche insegnante, sono stata considerata la "scema" della classe perché non interagivo come gli altri e ho dovuto ingoiare il boccone amaro, perché nessuno, nemmeno mia madre, ha mai fatto scudo. Né contro i compagni di scuola, né contro gli insegnanti.
Vi è una vicenda, di recente esaminata nelle aule di giustizia, che purtroppo non è che un esempio di ciò che accade molto spesso tra i nostri giovani: un ragazzo sferra un pugno ad un altro, procurandogli importanti lesioni. Entrambi sono minorenni. Quello che ha sferrato il pugno ha subito atti di bullismo da parte di quello che ha ricevuto il pugno. Atti di bullismo però precedenti l'aggressione che non è avvenuta in ambito scolastico e /o in occasione di tali atti persecutori.La domanda che ci si pone, dinanzi a una simile vicenda, è questa: essere stato bullizzato giustifica il pugno anche se -come detto- la reazione non si pone come immediatamente successiva?Sul punto, la terza sezione della Cassazione civile, con una sentenza particolarmente interessante (n. 22541/2019) ha espresso un principio, condivisibile o meno, che non può essere ignorato.
In primo grado il Tribunale aveva riconosciuto una certa rilevanza agli atti di bullismo che il danneggiante aveva subito, "concedendo" un risarcimento diminuito nel suo ammontare in favore del ragazzino che aveva subito il pugno. La Corte d'Appello, invece, è pervenuta a una conclusione diametralmente opposta: il pugno sferrato va letto come azione autonoma e non consecutiva agli atti di bullismo subiti, collocabili in una fase temporale diversa. Questi ultimi, pertanto, non rilevano ai fini dell'attribuzione della responsabilità per la violenza.
Veniamo alla sentenza della Corte di Cassazione.
A parere della terza sezione, il giudice dell'appello avrebbe errato nel limitarsi ad affermare "paternalisticamente" che non si deve reagire alle provocazioni ricevute. Una sorta di invito a porgere l'altra guancia che, per la Suprema Corte, appare inappagante nel valutare la condotta di colui che reagisca alle offese di cui è stato vittima se reiteratamente provocato e dileggiato.
E' interessante il ragionamento seguito dalla Corte, per la quale non bisogna dimenticare che un giovane vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, proprio perché adolescente e con una personalità in fieri, potrebbe avere e manifestare diverse forme di reazione: una passiva, destinata ad evolvere verso forme di autodistruzione, l'altra aggressiva.Il bullismo richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l'autore degli atti di bullismo e le persone offese, così da rendere ingiustificabile ogni reazione. Interventi riconducibili alle istituzioni, alla scuola, ad una ferma condanna pubblica e sociale.
Se questi interventi non sono posti in essere - come non lo sono stati nel caso in esame- non può essere legittimo attendersi da parte del bullizzato una reazione razionale, controllata e non emotiva.
Ne segue un vero e proprio invito verso il legislatore (questa è la peculiarità di questa sentenza) perché si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a comportamenti bullizzanti che possono poi generare reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute.
La terza sezione della Corte di Cassazione è più che esplicita nell'inviare un chiaro messaggio al Legislatore laddove scrive che nell' "attesa che si diffondano forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo", la risposta giuridica, nel caso di specie, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l'adolescente in questione è provato fosse stato ripetutamente sottoposto.
Un ampliamento della funzione della responsabilità civile che ha anche una funzione deterrente e finanche educativa?
Fonte: studiocataldi.it
Data: 28/04/2020 18:00:00
Autore: Filippo Portoghese
Una stessa parola può quindi essere usata per indicare concetti differenti (*) e chi la ascolta può attribuirgli il significato che vuole decidendo quindi, in completa autonomia, se considerarla offensiva oppure no.
Personalmente, prima di attribuire un qualsiasi Significato ad un Significante (o ad un Segno) cerco di comprendere il contesto nel quale la parola è stata usata.
Ad esempio, "maiale" di per sé mi fa pensare sia all'animale sia ad una offesa che ad una battuta spiritosa. Solo il contesto in cui viene pronunciato/scritto può dirmi se rimanere neutro, prendermela a male o farmi una risata.
(*) vale anche il contrario: lo stesso concetto può essere indicato da più parole.
A questo proposito, vi lascio il link ad una scena dell'ottavo episodio della terza stagione di Shameless (una serie tv americana irriverente ed ironica che, attraverso le [dis]avventure di una famiglia povera e problematica del sud di Chicago, fa riflettere su contraddizioni e assurdità della società statunitense - e, più in generale, di quella occidentale):
(se la "R word" vi dà tanto fastidio, forse non dovreste guardare il video... o forse dovreste guardarlo proprio per "ridimensionare" il disagio che vi procura
Comunque gli ho sferrato solo poco più du un colpetto di avvertimento, in fin dei conti...non si è neanche fatto molto male...(si è spaventato di brutto, però...) E poi era un notorio rompiscatole...
Comunque il fatto è che credono di non incontrare conseguenze...e allora bisogna reagire. Bloccare. Segnalare. Denunciare, a seconda dei casi e delle situazioni. Mostrare loro che le loro azioni hanno invece conseguenze.
Con garbo, con tatto e buonsenso, ma bisogna dimostrare loro che il tempo del "lasciare correre", del "guarda e passa", del "porgere l'altra guancia" è finito....
Stessa cosa per me (tranne che per il metro e 90).
Ero un ragazzino adorabile che alla minima provocazione diventava una vera piccola belva. Un vero tasso, che magari non può avere la meglio su lupi ed orsi, ma può metterli in condizione di dover pagare la loro vittoria a caro prezzo....
Il contesto in cui queste espressioni sono pronunciate e che li rende così offensivi, è quello di una presunta superiorità da parte di chi le usa. Come a dire "tu devi sopportare senza reagire perché io sono migliore di te. e quindi ho il diritto di maltrattarti, se mi gira. Ma tu, come inferiore, non hai il diritto di reagire. Se lo fai, è una lesione della mia libertà."
Svuotati da tale contesto, infatti, tali parole sono a volte anche fatte proprie dai destinatari, come la famigerata N-word per gli afroamericani.
Quel ragazzino idiota se l'era presa con me perché si sentiva superiore a me. Perché credeva che avessi un qualche deficit mentale. Era un modo per dirmi "tu sei malato, io sono sano" (non per molto, se continui a farmi girare le scatole); "tu sei anomalo, io sono normale" (se essere "normali" vuol dire essere stxxxxi come te, mi tengo strette le mie anomalie).
Riguardo i "bulli in giacca e cravatta", sono pericolosi perché il loro bullismo è più sottile, e più facile da giustificare. Si dice che sono solo "schietti", "politicamente scorretti", "irriverenti" , per gli stessi atteggiamenti che , quando messi in atto dal prepotente "tipico", creano sdegno.
Inoltre molte "brave" persone in realtà sono bulli mancati. Troppo codardi per aggredire, insultare, denigrare ed assumere comportamenti antisociali...
E poi, molti sono ipocriti. Ad esempio, Gli stessi che,su facebook gridano allo scandalo quando sentono di episodi di bullismo scolastico eclatanti, poi sono i primi a scrivere commenti con insulti e minacce a Greta thunberg.
Per il resto nessuno mi ha mai chiamato ritardata, perché anzi so molte cose a livello culturale, ma quando si parla di come funziona in mondo i miei tendono sempre a trattarmi come una che non ne sa niente. E infatti delle dinamiche sociali del mondo ci capisco poco.
(Specifico che io non sono diagnosticata, perché non trovo supporto da nessuno, né dai miei né dal mio medico di base, nel cercare uno psicologo).