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Come cosa fra persone

cameliacamelia Post: 3,517
modificato aprile 2018 in Sensi, percezioni, attenzione
Lo scorso fine settimana son stata al corso di Davide Moscone insieme ad una amica psicologa aspie come me (diagnosi ottenuta di recente). Nel viaggio di ritorno ricordavamo i tempi della pubertà; per entrambe è stato un periodo duro, difficile; ad un certo punto del discorso ho pronunciato una frase che non era mai uscita dalla mia bocca, ma che esprime forse meglio di qualunque altra la mia sensazione di allora e a tratti anche odierna: "mi sentivo come una cosa tra le persone"....
Credo che la mia reazione al dolore quando la fuga non era possibile, era quella di mimetizzarmi con l'ambiente fisico, non parlare, non muovermi, non girarmi; ad una cosa non si parla, tutt'al più la si vede, ma non la si può insultare. Ecco allora che ad un certo punto ci si abitua ad essere una cosa perchè funziona, si, in certe circostanze funziona. Ma poi non si vuol più essere una cosa e non si sa come fare a non confondersi con l'arredamento. E allora si deve imparare a "scongelarsi".
Mi sento un tantino patetica ad aver scritto queste cose. Ma forse qualcuno ha un'esperienza simile e vuole raccontarla.
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Commenti

  • riotriot Post: 7,016
    camelia, io ho vissuto dall'infanzia il senso di derealizzazione: vivere in molti momenti come in un sogno, i cui personaggi (le altre persone) e i contesti erano onirici (incomprensibili per lo più).

    in realtà è che non riuscivo a dare un senso a me stesso nei confronti del mondo.
    potrebbe essere questo il sentirsi una "cosa" fra le persone, o è del tutto differente?


    cameliaWendyAJDaisy
  • PavelyPavely Post: 3,350
    Pensavo a come la reazione ad una situzione di aggressione possa essere di tre tipi.

    Freeze, Fly or Fight.

    Immobilizzarsi, fuggire o combattere.

    La prima, to freeze, mi richiama alla mente, tantissimo, la condizione di cui parli.

    Mi ha molto colpito questa frase: "Credo che la mia reazione al dolore quando....". Mi sarei aspettato di trovare 'Paura'. Non dolore. E mi sono chiesto... perché "dolore"?

    Sicuramente, la scelta di questa parola porta con sé una risposta.

    Mi sfugge.

    §

    Ciò che hai vissuto, credo, sia una condizione naturale in tutto il Mondo che ci circonda, per ogni specie animale, compresi noi.

    Hai provato, provavi, paura.

    §

    Alla paura, anch'io reagivo immobilizzandomi.

    E' successo quattro volte che reagissi facendo davvero del male.

    Ad una persona, a 12 anni, ho dato (letteralmente) fuoco.  Ho mandato R., mio fratello (che ora è morto), in Ospedale con una legnata sul occhio sinistro.

    Quel giorno, mia madre, me le rese così tanto che mi passò la voglia di reagire con violenza. Davvero. Ripenso agli schiaffi che presi quel giorno... (meritatissimi).

    §

    Ora, sono davanti a questo schermo e ripenso alla mia infanzia...

    Fatta di solitudine.

    Rivedo i tentativi fallimentari di socialità. La reazione delle persone. La mia aggressività. Il mio isolamento.

    Oggi, è solo immobilità. Essere Cosa tra le persone.

    §

    Voglio smettere di sforzarmi di apparire chi non sono.

    O non parlare del dolore o della paura che ho dentro.

    Sento l'impulso a essere cosa tra le persone. E molto probabilmente, nel futuro, mi concederò questa condizione.


    woodstockcameliaWendymandragola77Amelie
  • pokepoke Post: 1,721
    Questa discussione mi ha fatto tornare alla memoria Natale di G. Ungaretti, ricordate? L'indimenticabile verso:


    "
    Lasciatemi così
    come una
    cosa
    posata
    in un
    angolo
    e dimenticata"

    nel quale era impossibile non identificarsi.

    Un ricordo di infanzia che descrive la mia situazione a scuola, essendo alta (periodo delle elementari), stavo all'ultimo banco, in silenzio mi confondevo con l'attaccapanni, l'unico oggetto che avevo dietro.
    cameliarondinella61OrsoX2Wendyitmandragola77Amelie
  • WendyWendy Post: 100
    Questo post mi ha fatto tornare ai ricordi degli anni all'asilo: io volevo diventare parte dell'arredamento, volevo scomparire, non essere una bimba, ma una cosa, per non essere chiamata, interpellata o derisa. Oggi se penso a quel periodo non ricordo i miei compagni o le maestre, ma rivedo davanti agli occhi ogni oggetto, superficie, mobile, presente nelle aule, chissà se questo sia in qualche modo legato al mio voler essere "cosa"...
    Quando ho iniziato la prima elementare ero felicissima, finalmente potevo imparare nuove cose, probabilmente ho vissuto un periodo di apertura, ma non avevo gli strumenti per modificare il mio atteggiamento, ricordo come una pugnalata la frase della mia maestra mentre parlava con mia mamma: "sua figlia è bravissima, ma si fa fatica ad accorgersi della sua presenza in classe, tanto è silenziosa". Ho pianto tanto per quella frase... ormai ero diventata un oggetto, ma avrei tanto voluto tornare ad essere una persona, una bimba come tutti gli altri. 
    Durante l'adolescenza per me è stato tutto troppo difficile e l'isolamento mi ha salvato in diverse circostanze.
    In seguito ho imparato un finto scongelamento, anche se non sempre efficace, ma in realtà oggi, in età adulta, sono più i momenti in cui voglio e decido di diventare "una cosa" e mi sento a mio agio.

    camelia

    "Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di poter fare, cominciala. Il coraggio ha in sé genio, potere, magia".
    J.W. Goethe
  • Perché sentirsi patetica Camelia? Anch'io nelle situazioni sociali, soprattutto da piccolo/adolescente, ho quasi sempre provato la sensazione di essere una cosa. 

    O meglio, un po' volevo esserlo per mimetizzarmi e non far accorgere agli altri della mia presenza, un po' perché mi veniva spontaneo esserlo in un ambiente dove la spontaneità era la regola (e lo è ancora) ma riferita a tutt'altro. E questa spontaneità le cose non ce l'hanno, anche per questo possono scomparire in un contesto a differenza delle persone/bambini. 

    Per me "diventare cosa" era più facile di fuggire o combattere. Fuggendo gli altri si accorgono di te, combattendo peggio. 
    camelia
  • Camelia, io mi sono sempre sentita così, ancora adesso che ho quasi 30 anni. Non voglio essere notata, mai, cerco di confondermi con l'ambiente, non parlo, evito, ma temo che questo produca l'effetto contrario. Si nota troppo la differenza tra me e gli altri, e paradossalmente proprio il mio cercare di fondermi ed essere una cosa mi fa notare ancora di più.
    camelia
  • PhoebePhoebe Post: 2,066
    @camelia forse ha a che fare con la depersonalizzazione?

    "Diverse sono le forme attraverso cui si manifesta la sensazione di distacco da se stessi (Steinberg, Schnall, 2001), tra i possibili sintomi:

    Depersonalizzazione:
    • la sensazione di guardare dall´esterno il proprio corpo compiere le azioni
    • la sensazione di guidare il proprio corpo come fosse un robot o un personaggio di fumetti/videogiochi/giochi da tavola.
    • la sensazione di essere scisso in una parte partecipante ed una osservante sentirsi irreali e meccanici
    • la sensazione di essere invisibili
    • l´incapacità di riconoscersi allo specchi
    • la sensazione di guardare come un film su se stessi
    • la sensazione che le altre persone siano reali ma non noi stessi
    • un forte senso di distacco dalle proprie emozioni
    • Una percezione distorta del proprio corpo
    • La perdita di sensibilità di parti del corpo"

    rondinella61Wendycamelia
    Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev'essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io. Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me. Beh, spero che, se tu sei lì fuori e dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te.

    Frida
  • cameliacamelia Post: 3,517
    modificato aprile 2018
    Riprendo a distanza di tempo questa discussione, rileggendo, uno ad uno, i vostri interventi e facendo la seguente riflessione.
    Stare fermi, come cose, invece di fuggire. Perchè? Perchè fugge chi pensa, comunque, di poter far qualcosa, di poter essere attivo, allontanandosi dalla fonte del dolore/paura.
    Stare fermi anzichè combattere. Perchè? Chi reagisce con violenza, anche lui, pensa di poter in qualche modo avere un ruolo attivo nel suo mondo, nella sua storia.
    Chi si fonde con la sedia, con la parete, si è definitivamente arreso, come un posacenere modellato in fabbrica o in una piccola bottega che, in quanto cosa, non può fare nulla per evitare che gli cada addosso la cenere.
    Amelie
  • vntlnzvntlnz Post: 41
    Grazie per avere ripreso questo post, @camelia
    Lo trovo di grande ispirazione.
    Per me è come stare defilato su un palco, nel ruolo di comparsa, ad osservare l'azione improvvisata da una folla di protagonisti che sgomitano per guadagnarsi un posto davanti al pubblico che giudica nell'ombra della platea e loro si agitano, invasati, pieni di certezze quando invece niente è scritto. E ciascuno va per conto suo, tra di loro non si ascoltano, eppure ne risulta un effetto di movimento che illude, come se ci fosse una regia.
    Essere come sfondo mi succede nella vita quotidiana. Non ti dico il disagio quando per lavoro devo vestire i panni dell'attore, parlare, spiegare, convincere quando invece preferirei scomparire, essere un sasso.
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