Empatia

Insomma ma sarà proprio vero che chi è nello spettro autistico è necessariamente scarsamente empatico?
Premetto che:
- io per lavoro ho conosciuto adulti autistici a basso funzionamento (ma che schifo di espressione) che sono molto empatici e molto simpatici, e persone con ritardo mentale ("fuori" dallo spettro) scarsamente o per nulla empatiche.
- nel mio caso io sembro avere un interruttore rotto, un circuito che a volte c'è e a volte no, a volte sono collegata e fortemente empatica a tal punto che sono stata definita più volte "un angelo", qualche volta invece mi sento scollegata e poco empatica, nel senso che fatico a comprendere lo stato d'animo di qualcun altro e soprattutto non ho idea di come mi dovrei sentire a riguardo, e sono risultata nella mia vita "fredda" "distaccata" "auto-centrata" "egocentrica" "una stronza".
Voi cosa ne pensate?
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Commenti
Io posso stare rinchiuso in casa per "mesi", ma se appena esco con qualcuno che mi piace, beh sono molto empatico - e da qualche anno pure molto espressivo.
Poi è ovvio che nei confronti di molta gente mi comporto con indifferenza. Ti dirò che ci sono persone con cui non parlo (persone che sicuramente mi vedono come un asociale) che mi hanno visto parlare a macchinetta con qualcuno. Ed hanno fatto una faccia per dire "ma come?!"
Gli approcci alternativi di socializzazione vengano tacciati come mancanza di empatia, ma semplicemente perché la gente è abituata ad un modo di socializzare talmente diffuso che (secondo loro) non ne potrebbero esistere altri.
Questa è la mia spiegazione.
Assolutamente NO!
gli autistici e gli AS hanno un'empatia affettiva anche superiore alla media, è l'empatia cognitiva (quella che permette di conoscere lo stato d'animo altrui dal linguaggio non verbale) che A VOLTE, NON SEMPRE può essere difettosa.
Ma è molto più facile che un aspie (o un autistico HF) riesca a colmare questa lacuna con la ragione, imparando a riconoscere logicamente e razionalmente le emozioni nel non verbale.
Per gli autistici LF onestamente non so se questo meccanismo è comune, ma neanche per loro si può parlare di mancanza di empatia visto che se messi al corrente delle emozioni altrui si comportano di conseguenza (questa è l'empatia affettiva), come cedola maggior parte degli esseri umani. Chi non ha empatia affettiva è probabile che abbia un disturbo antisociale di personalità, che secondo me è proprio l'opposto dell'autismo.
Questa può essere utile a fronte del discorso fatto da @Darwin su empatia affettiva, in modo da vederne la differenza.
Spero possa essere utile
Non so se è pertinente, ma mio figlio si preoccupa sempre di sapere come stanno gli altri o se sono arrabbiati ecc... ma parlando mi pare che questo suo "interesse" sia dovuto solo a delle ripercussioni che possono avere su di lui. Per esempio: se insulto un mio compagno di classe, lui potrebbe rimanerci male e poi picchiarmi, ma non dice mai "lui potrebbe rimanerci male e soffrire".
Lo stesso se vede qualcuno di noi familiari ammalati, sembra che ne venga toccato solo se questo va ad incidere sulle attenzioni che abbiamo per lui.
Penso che questo possa definirsi mancanza di empatia.
Nel medioevo, ad esempio, era normalissimo allevare gatti, sgozzarli e cibarsene (dalle descrizioni del tempo sembra che la carne di gatto sia molto simile al pollo).
Non esiste alcuna regola "generale" o "storica" o tanto meno "biologica".
Luigi Pirandello mandava bambini a lavorare 10 ore nella sua zolfatara.
E a nessuno passò mai per la mente di definirlo un poco di buono, una persona poco empatica o quant'altro.
Oppure, fino agli sessanta sembrò sempre "ovvio" che le donne dovessero starsene in casa ad accudire bambini e anziani e basta.
Non avevano cervello, si diceva.
E che dire certe cose delle donne era una mancanza di empatia nei loro riguardi?
§
La parola "empatia" è una carabattola neurotipica che i nuerotipici usano per cercare di capire l'autismo.
Ma in sé non vuol dire proprio nulla.
E' solo una delle tante coordinate e dogmi "ovvi" della scienza.
§
Si può mettere l'empatia da parte e sorriderne.
Ed è lecito annoiarsi quando i neurotipici ne parlano.
Io ho notato che la mia empatia cognitiva migliora se mi trovo a contatto con persone che conosco molto bene e quindi riesco a cogliere se si comportano diversamente dal solito, mentre con gli estranei mi manca la base da cui partire
Io credo che l'uso del termine "empatia" in questo contesto sia più un intralcio che un aiuto alla comprensione.
Da un po' di tempo sto insieme a D., un ragazzo aspie, e non mi sento affatto poco compreso né tantomeno poco considerato: al contrario, sono spesso stupito dall'accuratezza con cui riesce a comprendere i miei stati d'animo e ad agire conseguentemente.
Ciò detto, penso che una differenza tra noi ci sia eccome.
Fin dai primi giorni della nostra conoscenza D. mi ha chiesto di fare una cosa molto semplice a parole, ma difficilissima da realizzare nel quotidiano: dirgli tutto dei miei sentimenti e delle mie aspettative, non tacergli neppure le cose che mi sarebbero sembrate ovvie.
All'inizio cercavo di fare come mi aveva chiesto, ma non ne capivo tanto bene il senso, inoltre mi mancava l'allenamento e non riuscivo a vedere quante cose stavo dando per scontate...
Poi una volta mentre discutevamo lui mi ha accusato di fargli degli indovinelli impossibili da
risolvere e mi ha fatto notare che oltre ad essere irrazionale questo
comportamento faceva star male entrambi: lui perché finiva col sentirsi
inadeguato, io perché se ero arrivato a quel punto vuol dire che stavo
esprimendo dei bisogni profondi che non riuscivo a soddisfare.
A quel
punto ho incominciato a capire il perché della sua "strana" richiesta e a
mettere in discussione tutte le mie precedenti assunzioni: ho deciso che dovevo semplicemente fidarmi di lui e fare come mi chiedeva, per quanto mi sembrasse controintuitivo.
Trovo infatti estremamente faticoso dirgli cose come "Avrei tanto bisogno che invece di andare a chiacchierare con gli amici adesso stessi un po' qui con me" oppure "Per favore, smetti per qualche minuto di raccontarmi quanto ti divertivi a fare questa cosa con il tuo ex, in questo momento sto cominciando a compararmi con lui e questo mi fa stare male": per quanto cerchi sempre di esprimermi in modo rispettoso e riempia il discorso di mille "per favore", "se ti va", "se non ti dà fastidio", io vivo sempre queste "richieste" come delle "invasioni" della sua libertà, e credo che questo derivi dall'assunto, da me interiorizzato in decenni di rapporti con NT, che queste "attenzioni" dovrebbero essere scontate, e se una persona non le ha vuol dire che non tiene a te e tu non dovresti richiederle.
Ad ogni modo io ci sto provando, magari a volte fallisco perché sono troppo frustrato o stanco o arrabbiato, ma anche lui, da parte sua, comprende di più le mie difficoltà e anche se non riesce ad "intuire" che cosa ci sia dietro mi dice "Capisco che qualcosa non va ma non capisco cosa, me ne vuoi parlare?": spesso questo basta per "sbloccarmi" e riesco finalmente a parlare chiaro.
Come dicevo all'inizio, la mia impressione è che D. sia perfettamente in grado di comprendere i miei sentimenti e di comportarsi di conseguenza, ma invece che indurli attraverso l'interpretazione delle mie azioni alla luce di convenzioni sociali condivise, lo faccia elaborando in modo razionale gli elementi che io gli metto a disposizione.
In questo senso non è neanche vero, nella mia esperienza, che D. non sappia leggere le comunicazioni non verbali, perché capisce perfettamente se i miei gesti e le mie espressioni facciali esprimono gioia o disagio o noia o altro (ma magari è una sua specifica abilità individuale, non saprei), la differenza è che non li ricollega in modo automatico e quasi inevitabile (come invece faccio io) a quella specie di "sintassi" che noi NT inconsapevolmente adottiamo, e soprattutto non reagisce secondo quello che implicitamente ci aspetteremmo da un'altra persona.
Questa differenza, che potrebbe sembrare solo un limite, in realtà ha anche un pregio incalcolabile: D. è completamente privo di quei retropensieri che inquinano costantemente le relazioni degli NT ("mi chiede questo perché in realtà vuole qualcos'altro" e giochetti di questo genere), e credo che sia per questo che riesce a crearsi un'immagine così limpida di quello che sento e anche a rispondere con una generosità non trattenuta da considerazioni un po' meschine come quelle che spesso purtroppo non del tutto consapevolmente facciamo anche nella vita di coppia.
Dico questo non per fare un elogio degli aspie, che non ne hanno nessun bisogno (temo anzi che suonerebbe piuttosto stupido), ma per rilevare che cambiando il punto di vista a volte ci si accorge che le opportunità sono maggiori degli ostacoli, che pure non sono irrilevanti.
Come dicevo, a me pare che tutto questo non abbia proprio niente a che vedere con l'empatia e la capacità di immedesimarsi in un'altra persona e assumere il suo punto di vista, ma piuttosto con l'assenza di certi schemi comportamentali (perdonatemi l'imprecisione, non sono un "tecnico") che per la maggioranza delle persone in buona parte determinano il gioco delle reciproche aspettative; se non avessi cercato di entrare un po' nella sua logica, probabilmente avrei concluso che era semplicemente un egoista insensibile alla mia sofferenza, e invece non c'è nulla di più lontano dalla realtà.
Queste comunque sono solo mie personalissime osservazioni, e naturalmente non ho la
pretesa che abbiano un qualche valore scientifico, e non so nemmeno se D. sia d'accordo perché non mi sono confrontato con lui
prima di scriverle: semplicemente le metto a vostra disposizione.
Per una riflessione più approfondita, ti rimando a questo articolo che @ct87 ha citato in un precedente post all'interno di questa discussione:
http://www.spazioasperger.it/index.php?q=caratteristiche-dell-asperger&f=130-empatia-cecita-mentale-e-teoria-della-mente
Ciao!
Ma a volte ho la presunzione di credere che non sia possibile sentire sentimenti per qualcosa che non si ha sperimentato. La sofferenza per avere una patologia neurodegenerativa che ti condurrà a morte certa, perdendo il controllo di sé, potrò mai capirla fino in fondo? Una persona qualunque può capirla se non l'ha vissuta? Io sarò arrogante, ma credo che ci si possa avvicinare a capirla ma sarà comunque un sentimento lontano. Ma probabilmente mi sbaglio nel dire ciò perché non ha senso usare il mio metro di giudizio per valutare l'empatia altrui. Però continua a sembrarmi una cosa così strana.
A volte mi chiedo come sia sperimentare i sentimenti altrui sulla propria pelle.
Per inciso, nel test EQ ho totalizzato 20/80, nell'SQ 48/80. Due risultati, quindi, apparentemente contraddittori: sembrerei poco empatico ma pochissimo portato a sistematizzare. Ho il sospetto, comunque, di aver sovrastimato il grado di alcune risposte, nel primo test, o di averle inconsciamente riferite più al passato che al presente. Probabilmente quel 20 è un punteggio eccessivamente ridotto. Mi riprometto comunque di rifare entrambi i test tra un po' di tempo... comunque, in generale, sembrerei proprio una contraddizione vivente.
Per alcuni versi sono una persona piuttosto empatica, infatti mi piace mettermi nei panni degli altri, ho curiosità per le persone e situazioni diverse dalla mia, per altri sono un po elefantino, faccio spesso gaffes e dico cose inopportune.
Con le amiche ad esempio è un disastro, loro vorrebbero un "ti capisco " io invece tendo sempre ad analizzare il lato pratico della questione o a minimizzare, ma non per male, del tipo "ma che sarà mai", e non mi perdo in piagnistei.
Ma c' è da dire che il mio approccio lo vedo a tanti uomini, anche Nt, quindi mi chiedo..non è che semplicemente ho una testa maschile?